Alberto Arbasino, Specchio delle mie brame

Alberto Arbasino, Specchio delle mie brame

Alberto Arbasino, Specchio delle mie brame, Einaudi, 1975, pp. 136

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Alle spalle della Belle Epoque palermitana, in una magione campestre fastosa e cupa, una sfrenata baronessa che non ne ha mai abbastanza gestisce trame sconvenienti e bizzarre fra una sua bimba diciassettenne, un suo bimbo quindicenne, una procace istitutrice gallese, e un villano precettore addirittura impresentabile. Né Verga, né Pirandello, né D'Annunzio, né De Roberto, né Capuana, né Lampedusa li abbandonano un attimo! E anche altre compagnie assai meno raccomandabili, ahimè, non perdono di vista quell'estate in villa! Questo imbarazzante romanzetto pseudo-libertino altro infatti non è se non un diligente trattatello sul più rinomato e trionfale Kitsch all'italiana - letterario, teatrale, cinematografico, meridionalistico, tra il secondo Ottocento e il primo Novecento - in forma non già saggistica ma narrativa: Kitsch, dunque, di secondo o magari di terzo grado; Kitsch «critico»; o meta-Kitsch... L'impegnativa operazione è stata per lo più eseguita secondo il modo di Marcel Duchamp: scegliendo e riciclando oggetti trovati, materiali prepubblicati, prodotti in serie, pezzi di ricambio, apparecchi automatici, congegni inutili, strutture formali, cassetti di ritagli, cestini di rifiuti, organi pensanti, macchine desideranti, eccessi di signorilità, analisi di funzioni, miti, fiabe, teatrini critici, in forma di romanzo del nostro Profondo Sud. Volendo, si potrebbe sentirvi anche un'eco di rocambolesche risate: sono Raymond Roussel, Tommaso Landolfi, Karl Kraus e Vladimir Propp.